Ha vinto il sindacato tedesco

Susanna Camusso (Cgil)

Susanna Camusso (Cgil)

Quando in Germania il sindacato accettava di lavorare di più per salvare le aziende e senza aumentare gli stipendi o di non farsi pagare gli stipendi per uno o due mesi, i sindacati italiani urlavano che qui non era applicabile la stessa politica. Ora l’occupazione è al massimo storico in Germania, mentre in Italia è la disoccupazione a volare.

A Roma, i sindacati sono di nuovo in piazza a dire che non vogliono venire a patti e intanto hanno perso su Fiat. Certo se i tedeschi sono così, è anche merito di imprenditori seri e coscienziosi, che nel Belpaese scarseggiano. Ma non sono tanti neppure i rappresentanti dei lavoratori che guardano un po’ più in là del loro naso e della loro busta paga.

Il lusso di un treno

Un treno

Un treno

Estate, giorno feriale, il treno regionale Firenze-Roma è strapieno di gente. Sono soprattutto persone semplici e turisti. Se uno preferisce viaggiare 4 ore che prendere l’alta velocità, vuol dire che certi costi non sono abbordabili. La crisi ha ricrato i due livelli: il treno per i poveri e quello per i ricchi.

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L`India colonizzera` i marziani

Mars Attack

Amici del consumo equo e solidale vi porto una triste novella: non avete capito niente. Me l`ha spiegato un indiano, uno di un discreto livello. Mi ha detto che gli indiani vogliono vivere come noi, pure spercando le risorse naturali. E se finiranno, andremo a prenderle in altri pianeti. Al mio scetticismo, mi ha risposto che leggo troppo la Bibbia.

Evitate le battute su quest`ultima frase, per altro detta da un cristiano che crede che “tutte le religioni abbiamo ragione” (che bella evangelizzazione). Il concetto e` serio. Questo ha evitato tutte le questioni relative ai diritti dei lavoratori messi in discussione in Europa, e ha parlato solo della fiducia nello sviluppo del suo paese. Sostiene che a lui non frega niente che non ci siano risorse per vivere tutti “sciupando le cose come fanno gli americani” perche` “dio ci ha dato in mano l`universo e potremo andare a prendere li` cio` di cui abbiamo bisogno”

Mi sono ovviamente opposto con due considerazioni. La prima: credo che prima di rischiare di condividere la propria ricchezza, gli occidentali scateneranno una guerra, ma lui ha risposto che potremo vivere senza ossigeno grazie alle tecnologie. La seconda che quello che diceva mi sembrava la stessa cosa che hanno fatto i britannici nei secoli passati: quando i poveri si sono arricchiti e hanno chiesto di godere anche loro di una qualita’ di vita comparabile ai ricchi, colonizzo gli altri paesi del mondo e li depredo. Cosi` gli indiani farebbero con altri pianeti, anche se abitati da altre specie (l`ha ditto lui).

Sicuramente sto parlando di un caso singolo. Ma la fiducia che aveva nel progresso era veramente senza limiti. Ha ammesso anche lui che un figlio di un povero si impegna per innovare, e uscire dalla poverta`, piu` di quello di un ricco, che pensa solo a mantenere cio` che ha. Pero` l`idea di voler a tutti i costi vivere come il peggiore europeo, mi spaventa.

E la conferma l`ho avuta la sera, a cena con due famiglie veramente fantastiche, che si meritano tutta la fortuna di questo mondo. Mi hanno fatto vedere le tante foto e i video dei pochissimi viaggi fatti, dove si sono fatti riprendere accanto a limousine e navi da crociera, oltre alla casa in costruzione con “italian designer”. Invidiano il nostro stile di vita e faranno di tutto per raggiungerlo. Intanto usano le mattonelle da bagno come battiscopa. Sara` poi tutto oro quello che e` occidentale?

Off-shore milionari anche per Silvio

l'Hawker 390 di Berlusconi

7 milioni per un aereo privato nuovo, uno yacht usato da 15 milioni di euro, un barcone da 6 milioni e appena uscito dai cantieri per il figlio. Per la famiglia Berlusconi la crisi è solo politica. Ma il bello deve venire. I mezzi del Papi sono di proprietà di società con sede in paradisi fiscali. E poi parlano di Fini

Bechi’s blog

C’è crisi, studia per diventare badante

Dario di Vico

Dario di Vico

Il “mitico” Dario di Vico, spasimante dei distretti industriali e della politica (leghista) “padrone e lavoratore insieme”, ha scritto un editoriale sul non-lavoro giovanile che mette in chiaro la sua idea di scuola e lavoro, che io speravo estinta: gli ultimi a fare gli operai e le badanti, gli altri a studiare.

Sia chiaro, di Vico parte da un’idea che condivido: non tutti devono per forza andare al liceo. Molti si troverebbero benissimo a fare un tecnico, un commerciale, a studiare qualcosa di più pratico. Perché vi sono più portati, non perché sono scemi.

Ma io intendo lavori tecnici, non manuali. Parlo di periti esperti, non di operai. Invece lui finisce con una frase emblematica: “dati che vengono dal Veneto ci dicono che in queste settimane si cominciano a iscrivere ai corsi da badante e infermiere non più solo immigrati ma anche italiani. Evidentemente la recessione sta cambiando vecchie mentalità”.

Badanti e infermieri sullo stesso livello? Ma lo sa di Vico che gli infermieri sono laureati? Ma lo sa che quei corsi della regione Veneto sono per gli Asa-Oss, gli assitenti ospedalieri, gente che va solo a lavare il sedere ai moribondi? Ma lo sa che ci sono una marea di lavori da periti (che necessitano il diploma) e da laureati (come l’infermiere, appunto, ma anche l’educatore, l’ingegnere biomedico) dove manca manodopera?

Per trovare posti di lavoro disponibili non serve cadere fino all’ultimo gradino della scala sociale. O forse è solo uno stratagemma, il suo, modo per dire non “ciascuno trovi la sua strada fino da scuola”, ma “ciascuno si adatti ad avere la sua strada”? Non vorrei che da questo punto si tornasse all’idea “figlio di operaio, operaio anche lui”.

So che la Lega sta riportando in auge l’idea che “operaio e contadino è bello” e io credo che sia giusto, e che la destra e la sinistra borghese abbiano per troppi anni visto queste categorie come qualcuno da salvare, da redimere. Ma da qui alla società classista, ce ne corre.  Forse di Vico ha pisciato un po’ fuori dal vaso.

D’altronde, per come la vedo io, è un’abitudine. So che molti adorano la sua idea idilliaca dei distretti industriali, ma io la considero superata. All’università mi insegnavano che siamo nell’era del quarto capitalismo, quello delle medie aziende multinazionali che hanno battuto le altre del distretto e le hanno rese succubi, facendole lavorare per loro. Morta la capostipite, muoiono tutte.

Ma se avesse ragione di Vico sui distretti industriali come futuro, chissà che non abbia ragione anche sulla società classista.

La manovra vista da mia nonna

Silvio Berlusconi

Tutti a tavola per il pranzo della domenica, il tg1 (puntata vergognosa) sta parlando della manovra fiscale che dovrebbe ricadere su pensionati, futuri pensionati, lavoratori pubblici, lavoratori dipendenti ecc.ecc. Mentre tutti ascoltano, parte la nonna: “E ci fa’ pagar’annoi, e intanto lui si vo’ comprare le ville a Venezia e ni’Chianti”.

Quando si dice la saggezza popolare…

P.S. Nella giornata della marcia della Pace di Assisi, il Tg1 ha riservato ampio spazio alla parata dei bersaglieri a Milano (con il ministro La Russa) e solo due parole, senza neppure un video, su Assisi. Ah, e ha aperto con il Papa, nonostante la quasi guerra civile a Bangkok.

Big Pharma. Le aziende del boom? Licenziano. Tanto paga lo Stato

Tamiflu

Confezione di Tamiflu

Il farmaceutico è l’unico settore che fa utili nonostante la crisi. Grazie anche all’influenza A, dai vaccini al Tamiflu. Eppure, con un gioco di scaricabarile, queste imprese dal 2008 si sono liberate di 12 mila dipendenti, finiti in cassa integrazione. A spese di tutti noi.

dal Venerdì di Repubblica
del 23 aprile 2010
di Riccardo Bianchi e Paolo Casicci


Roma. L’email, del 5 novembre scorso, è firmata dal numero uno di Roche Italia, Maurizio de Cicco. Il manager ringrazia i dipendenti e accenna ai risultati del 2009, «superiori alle aspettative». Quindi, annuncia che la divisione italiana della multinazionale svizzera ha riaffermato la propria leadership in ospedale – «in particolare in oncologia» – e registrato «una performance superiore a quella dell’intero mercato». Tanto da aver meritato «la visita del Board of Directors del gruppo, la prima in oltre cento anni di storia». Peccato, però, che nello stesso mese l’azienda si sia appellata a una fantomatica crisi per respingere la richiesta dei sindacati di base di revocare la mobilità a una sessantina di addetti a Segrate.

Bilanci in attivo e tagli al personale: il paradosso è attecchito anche a Siena, dove un altro colosso svizzero del farmaco, la Novartis, dopo avere incassato dallo Stato 184 milioni per il vaccino-flop contro il virus H1N1 ha avviato una procedura di mobilità per 24 dipendenti, 20 dei quali sono informatori scientifici. L’ultimo affare, Big Pharma lo sta consumando sulla pelle dei suoi principali portatori d’acqua. Dopo aver fatto inghiottire milioni di pillole agli italiani, quella più amara è rimasta proprio agli informatori. L’esercito di professionisti che per anni ha garantito alle aziende profitti da capogiro, viene ora scaricato senza tanti complimenti, con il pretesto di una crisi sconfessato dai dati: secondo l’Istat, nei primi due mesi del 2010 la produzione del settore è aumentata dell’8,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2009. E le singole aziende sono in attivo.

«Una mattanza inspiegabile», accusa il senatore idv Domenico Scilipoti, che dal 2008 ha contato 12 mila licenziamenti, mentre altri tremila –  nell’informazione scientifica, e non solo – ne prevede Farmindustria. Che, per difendere i tagli, tira in ballo, tra l’altro, la concorrenza dei farmaci generici entrati in commercio dopo la scadenza di numerosi brevetti. Una concorrenza, in realtà, solo virtuale, dato che le quote di mercato degli equivalenti, in Italia, restano bassissime. La verità è che Big Pharma sta rinnovando l’antico brevetto che spiega come socializzare le perdite. Il gioco è semplice. «Se una multinazionale vuole disfarsi di un certo numero di dipendenti» spiega il segretario degli informatori Cobas Carmelo Carnovale, «crea un ramo d’azienda con il personale in esubero e lo cede a una piccola impresa». Questa rileva anche la promozione dei farmaci che i professionisti «acquistati» hanno seguito per il vecchio datore di lavoro. «Se poi, come quasi sempre succede, l’azienda acquirente entra in crisi, la soccorre lo Stato con la cassa integrazione».

Le vittime della «mattanza» sono quasi tutti informatori che promuovevano farmaci presso i medici di base, settore sul quale le aziende hanno smesso di concentrarsi. «Ormai» spiega il segretario dei chimici cisl Luciano Tramannoni «i veri affari si fanno con gli antivirali e gli oncologici somministrati negli ospedali». È lì che Big Pharma sta convogliando la maggior parte delle risorse, tagliando le altre. E infatti, mentre la spesa in farmaci (anche falsamente innovativi) degli ospedali è esplosa, nelle farmacie le aziende continuano a guadagnare come prima. Osserva Fiorenzo Corti della Federazione dei medici di famiglia: «Se l’informazione scientifica, come sta accadendo, abbandona la medicina generale, si crea un buco informativo pericoloso: anche i medici di base, e non solo gli specialisti, devono conoscere nei dettagli i farmaci più avanzati».

Chi più di tutti ha comprato informatori dalle linee vicine ai medici di base è la Marvecspharma, un’azienda brianzola che alla nascita, nel ‘99, si occupava di somministrare lavoratori alle aziende farmaceutiche e già pochi anni dopo, sgonfiata la bolla del mercato interinale, iniziava a comprare informatori dalle multinazionali. Nel 2007, con un disavanzo di 18 milioni, ne rilevava 443 da Pfizer: un intero ramo d’azienda che la multinazionale del Viagra, come segnala Scilipoti in un’interrogazione al governo, le cede per complessivi mille euro. Gli affari continuano ad andare male, eppure, sempre nel 2007, Marvecs compra altri 108 informatori da Astrazeneca e, in due tranche, ulteriori 156 dalla stessa azienda, passando da 550 a 1100 dipendenti. Il deficit, intanto, tocca quota 65 milioni, e Marvecs, una srl, diventa la prima azienda farmaceutica italiana per numero di informatori. Strano, visto che il numero uno Nicola Danzo in un’intervista aveva «rimproverato» le multinazionali di avere assunto in passato troppi informatori.

Oggi, tra cassa integrazione e uscite volontarie, in Marvecs sono attivi circa 200 informatori. La terza richiesta di proroga della cassa integrazione è stata presentata un mese fa e sottoscritta da Cgil, Cisl e Uil ma non dai Cobas, dopo che si è scoperto, grazie a una banale verifica all’Inps, che l’azienda non versa il contributo mensile per il fondo pensionistico, che eppure viene trattenuto in busta paga. Il giochetto è costato all’amministratore Danzo almeno una denuncia per appropriazione indebita da parte di un dipendente «comprato» dalla Wyeth (citata dallo stesso lavoratore, in un’altra causa, per “incauta cessione” alla Marvecs).

Ma a ricorrere agli ammortizzatori sociali sono anche aziende più quotate. Nel 2009, Astrazeneca ha disposto per la cassa integrazione per 256 lavoratori e un mese fa ha dichiarato ulteriori 41 esuberi. Tra i due provvedimenti, s’è però contraddetta, acquistando 170 informatori da Simesa (una controllata) per potenziare la linea primary care, la stessa che era stata cancellata dalla precedente mobilità.

Il trucco di scaricare su altre imprese (e sullo Stato) il costo del personale in eccesso è stato denunciato da alcuni informatori, reintegrati al proprio posto dai giudici. Roche è stata tra le prime aziende a sbarazzarsi delle linee impegnate sul fronte dei medici generici. Nel 2008, con un fatturato che l’anno prima era schizzato a un più 11,5% grazie agli oncologici salvavita, la multinazionale cedeva un centinaio di informatori alla Innovex, una srl con un capitale sociale di 90 mila euro. «Per fare accettare il trasferimento, si garantiva ai dipendenti che nulla del trattamento originario sarebbero stato intaccato» spiega l’avvocato degli informatori Pierpaolo Capoano. Ma al momento di firmare l’accordo, ecco la novità: nel 2008, una lettera dei rappresentanti sindacali spiegava che, per non perdere il diritto alla tassazione agevolata del passaggio alla nuova azienda, la forma della cessione andava modificata, passando da «cessione di contratto» a «risoluzione e nuova assunzione»: una formula, quest’ultima, che non garantisce il trasferimento automatico del trattamento pregresso. Otto dipendenti «ribelli» non ci stanno e vengono trasferiti nella sede Roche di Monza a occuparsi di recupero crediti. Di questi, cinque hanno vinto una causa per demansionamento, ma uno è dovuto ricorrere nuovamente al giudice per farsi riassegnare alla sede originaria, dopo che Roche lo aveva riassunto lontanissimo dalla vecchia sede.

Commenta uno di questi ex dipendenti Roche: «La nostra non è solo una storia di lavoratori svenduti, ma anche una truffa ai cittadini: l’Agenzia italiana del farmaco, nel fissare i prezzi dei medicinali, valuta il costo che le imprese sostengono per l’attività di informazione, che non è accessoria, ma indispensabile, come ribadito dalla legge. Dunque, se le aziende tagliano le linee di informatori, anche il prezzo dei farmaci va rivisto al ribasso». Ipotesi innaccettabile, per il presidente di Farmindustria Sergio Dompé: «I prezzi sono già troppo bassi». Giuliana Carlino, la senatrice idv che l’anno scorso presentò un’interrogazione sulla vicenda Roche, dice che la risposta dal ministero della Salute (dove all’epoca sedeva Maurizio Sacconi) non è mai arrivata: «In compenso, pochi giorni dopo aver depositato il documento, ricevetti una chiamata da Farmindustria (il direttore generale è Enrica Giorgetti, moglie di Sacconi) e dalla stessa Roche. Volevano spiegarmi le loro ragioni». Quando si dice la disponibilità.