Ha vinto il sindacato tedesco

Susanna Camusso (Cgil)

Susanna Camusso (Cgil)

Quando in Germania il sindacato accettava di lavorare di più per salvare le aziende e senza aumentare gli stipendi o di non farsi pagare gli stipendi per uno o due mesi, i sindacati italiani urlavano che qui non era applicabile la stessa politica. Ora l’occupazione è al massimo storico in Germania, mentre in Italia è la disoccupazione a volare.

A Roma, i sindacati sono di nuovo in piazza a dire che non vogliono venire a patti e intanto hanno perso su Fiat. Certo se i tedeschi sono così, è anche merito di imprenditori seri e coscienziosi, che nel Belpaese scarseggiano. Ma non sono tanti neppure i rappresentanti dei lavoratori che guardano un po’ più in là del loro naso e della loro busta paga.

Non ti paga e ti querela: storie di giornalismo precario

Il presidio in Palazzo Vecchio

Il presidio in Palazzo Vecchio

Ha scritto sul suo blog di informazione locale che il settimanale per cui lavorava era ben fatto, ma non lo pagava. L’editore l’ha chiamato annunciandogli una querela da 70mila euro. E’ successo a Lorenzo, giornalista di Milano. Quando l’ha raccontato in un convegno nazionale, nessuno dei sindacalisti presenti si è alzato per dirgli “parliamone”.

Quella di Lorenzo è una delle tante storie raccontate durante il convegno dell’Ordine dei giornalisti per approvare la Carta di Firenze, un regolamento deontologico che tuteli i precari dell’informazione. Perché questo siamo, il freelance è un’altra cosa, per quanto a volte ci piaccia chiamarci così perché suona meno triste.

Come Lorenzo, molti altri hanno raccontato fatti spiacevoli realmente accaduti: gente cacciata dall’oggi al domani per aver litigato col capo (è permesso, ahimè), gente minacciata dalla malavita e non difesa dai colleghi, gente sfruttata per 2 euro a pezzo e poi scaricata quando ha chiesto un aumento. In nessun caso un sindacalista si è alzato per parlare con queste persone. A dir la verità, escluso i vertici dell’Fnsi, c’erano pochissimi sindacalisti, quasi nessun membro di un comitato di redazione. Questo dimostra che l’interesse per i colleghi non contrattualizzati è basso, purtroppo. E la parola “basso” è una gentilezza.

Comunque la Carta ha un suo perché. Mette in chiaro che noi precari dobbiamo farla finita di accettare ogni condizione e che i responsabili delle redazioni che utilizzano precari sottopagati e senza diritti sono passibili di una sanzione disciplinare. Non è cosa da poco, un caporedattore punito deve lasciare il suo ruolo. Immaginarsi un direttore sanzionato: non potrà più firmare il giornale.

Si è parlato anche di legge sull’equo compenso, una novità che se verrà approvata permetterà di difendere pure i tanti giovani che sudano per ore in un’azienda qualsiasi e vengono pagati meno di una colf part-time, secondo la logica del “devi essermi grato, perché almeno ti do un lavoro”.

Esistono redazioni dove gli stagisti sono pagati 800 euro al mese, dove i collaboratori e i capiredattori quando escono per servizio ricevono un rimborso identico che ha un tetto massimo da lavoratore normale (niente hotel a 5 stelle, per intendersi) e che quando vanno in stato di crisi rinunciano ai tirocini invece che riempirsi di gente che lavora gratis. È il comunismo? No, è l’inglese Reuters.

C’è chi ha detto “Non lo faranno mai, nessuno punirà un collega, è una casta”. Ci sta, non siamo qui a sognare la vittoria della giustizia, questa è pur sempre l’Italia. Ma in qualche modo bisogna cambiarla, se non vogliamo invecchiare in un paese che non ci piace. E’ per questo che non ho fatto come molti colleghi, e al convegno ho deciso di esserci. E se un giorno, per errore, arriveremo noi a ricoprire un ruolo di responsabilità, guardiamo di non fare lo stesso sbaglio e di evitare le solite frasi “E’ la gavetta, ci siamo passati tutti”.

Vivere con 600 euro al mese per anni, anche dieci, crea una selezione naturale tra chi se lo può permettere perché ha i soldi di famiglia, e chi deve cambiare mestiere perché non ce li ha. Non è gavetta, non è un modo per vedere chi ha voglia di fare questo lavoro e chi no. E’ un’ingiustizia. E basta.

Pomigliano, il rischio giornalismo


Il Sindacalista

Guardando Pomigliano vedo due linee: un sindacato che crede di essere negli anni ’70 e uno che parla con gli industriali, ma non sa come. E nel mezzo molti lavoratori che rischiano di finire come i giornalisti: con un contratto che nessuno rispetta.

La Fiom parla di diritti, ma difende una realtà che non esiste. Il muro è iniziato fin da quando Marchionne ha parlato di “maggiore flessibilità”. E si è concretizzato quando è apparso l’accordo, che riporta il divieto di scioperare contro le regole del contratto dopo la partenza della produzione, anche per le sigle che quel contratto non lo avranno firmato. Comunque sono anni che la Fiom non firma i contratti nazionali dei metalmeccanici, perciò il muro è sempre alzato.

Dall’altra Fim e altre che andranno con la Fiat perché i lavoratori, dopo 24 mesi di cassa integrazione, vogliono lavorare. Ma non hanno ben chiaro, perché non lo sanno nemmeno i loro sindacati centrali, come relazionarsi con gli imprenditori, che proposte portare, se dare ai lavoratori delle quote azionarie dell’azienda, se dare più straordinari e quindi più soldi.

Ma in generale sembrano tutti disposti a difendere i lavoratori interni alle aziende, quelli a tempo indeterminato, quelli fissi, quelli già difesi. Una lotta fuori dal mondo, perché più diritti per i pochi vuol dire più precariato e meno diritti per molti. E questi molti, spesso giovani, odieranno il sindacato, visto come difensore dei vecchi.

In più le aziende se ne andranno, perché l’unico modo per battere le delocalizzazioni è migliorare la produzione e qui in Italia è praticamente impossibile chiedere ai sindacati di aumentare la produzione, c’è subito qualcuno che grida allo “schiavismo”. (Ripeto, a Pomigliano si producono 35 mila auto su una sola linea, in Polonia 280 mila. Useranno le fruste?)

Ma, come dicevo, si va verso il giornalismo. Nel mio settore (per quanto?) esiste un contratto pieno di diritti, zeppo. Eppure nessuno lo rispetta, vale solo per pochi anziani. Addirittura i giovani sono disposti a essere sottopagati e schiavizzati, pur di avere un lavoro. E quando si rivolgono ai sindacati, nessuno risponde. Anzi, rispondono più al Popolo Viola contro le intercettazioni, che a noi.

Ecco, il sindacato ha accettato questo negli anni, addirittura contratti diversi tra i vecchi e quelli che verranno dopo la firma dell’accordo (Repubblica 1997). Ora anche nelle nuove redazioni che aprono, i redattori (più sicuri) sono pagati 800 euro, molto sotto il contratto nazionale. Insomma, anche i ruoli sicuri, stanno diventando insicuri. Sarà così anche per altri settori? Speriamo di no…