Big Pharma. Le aziende del boom? Licenziano. Tanto paga lo Stato

Tamiflu

Confezione di Tamiflu

Il farmaceutico è l’unico settore che fa utili nonostante la crisi. Grazie anche all’influenza A, dai vaccini al Tamiflu. Eppure, con un gioco di scaricabarile, queste imprese dal 2008 si sono liberate di 12 mila dipendenti, finiti in cassa integrazione. A spese di tutti noi.

dal Venerdì di Repubblica
del 23 aprile 2010
di Riccardo Bianchi e Paolo Casicci


Roma. L’email, del 5 novembre scorso, è firmata dal numero uno di Roche Italia, Maurizio de Cicco. Il manager ringrazia i dipendenti e accenna ai risultati del 2009, «superiori alle aspettative». Quindi, annuncia che la divisione italiana della multinazionale svizzera ha riaffermato la propria leadership in ospedale – «in particolare in oncologia» – e registrato «una performance superiore a quella dell’intero mercato». Tanto da aver meritato «la visita del Board of Directors del gruppo, la prima in oltre cento anni di storia». Peccato, però, che nello stesso mese l’azienda si sia appellata a una fantomatica crisi per respingere la richiesta dei sindacati di base di revocare la mobilità a una sessantina di addetti a Segrate.

Bilanci in attivo e tagli al personale: il paradosso è attecchito anche a Siena, dove un altro colosso svizzero del farmaco, la Novartis, dopo avere incassato dallo Stato 184 milioni per il vaccino-flop contro il virus H1N1 ha avviato una procedura di mobilità per 24 dipendenti, 20 dei quali sono informatori scientifici. L’ultimo affare, Big Pharma lo sta consumando sulla pelle dei suoi principali portatori d’acqua. Dopo aver fatto inghiottire milioni di pillole agli italiani, quella più amara è rimasta proprio agli informatori. L’esercito di professionisti che per anni ha garantito alle aziende profitti da capogiro, viene ora scaricato senza tanti complimenti, con il pretesto di una crisi sconfessato dai dati: secondo l’Istat, nei primi due mesi del 2010 la produzione del settore è aumentata dell’8,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2009. E le singole aziende sono in attivo.

«Una mattanza inspiegabile», accusa il senatore idv Domenico Scilipoti, che dal 2008 ha contato 12 mila licenziamenti, mentre altri tremila –  nell’informazione scientifica, e non solo – ne prevede Farmindustria. Che, per difendere i tagli, tira in ballo, tra l’altro, la concorrenza dei farmaci generici entrati in commercio dopo la scadenza di numerosi brevetti. Una concorrenza, in realtà, solo virtuale, dato che le quote di mercato degli equivalenti, in Italia, restano bassissime. La verità è che Big Pharma sta rinnovando l’antico brevetto che spiega come socializzare le perdite. Il gioco è semplice. «Se una multinazionale vuole disfarsi di un certo numero di dipendenti» spiega il segretario degli informatori Cobas Carmelo Carnovale, «crea un ramo d’azienda con il personale in esubero e lo cede a una piccola impresa». Questa rileva anche la promozione dei farmaci che i professionisti «acquistati» hanno seguito per il vecchio datore di lavoro. «Se poi, come quasi sempre succede, l’azienda acquirente entra in crisi, la soccorre lo Stato con la cassa integrazione».

Le vittime della «mattanza» sono quasi tutti informatori che promuovevano farmaci presso i medici di base, settore sul quale le aziende hanno smesso di concentrarsi. «Ormai» spiega il segretario dei chimici cisl Luciano Tramannoni «i veri affari si fanno con gli antivirali e gli oncologici somministrati negli ospedali». È lì che Big Pharma sta convogliando la maggior parte delle risorse, tagliando le altre. E infatti, mentre la spesa in farmaci (anche falsamente innovativi) degli ospedali è esplosa, nelle farmacie le aziende continuano a guadagnare come prima. Osserva Fiorenzo Corti della Federazione dei medici di famiglia: «Se l’informazione scientifica, come sta accadendo, abbandona la medicina generale, si crea un buco informativo pericoloso: anche i medici di base, e non solo gli specialisti, devono conoscere nei dettagli i farmaci più avanzati».

Chi più di tutti ha comprato informatori dalle linee vicine ai medici di base è la Marvecspharma, un’azienda brianzola che alla nascita, nel ‘99, si occupava di somministrare lavoratori alle aziende farmaceutiche e già pochi anni dopo, sgonfiata la bolla del mercato interinale, iniziava a comprare informatori dalle multinazionali. Nel 2007, con un disavanzo di 18 milioni, ne rilevava 443 da Pfizer: un intero ramo d’azienda che la multinazionale del Viagra, come segnala Scilipoti in un’interrogazione al governo, le cede per complessivi mille euro. Gli affari continuano ad andare male, eppure, sempre nel 2007, Marvecs compra altri 108 informatori da Astrazeneca e, in due tranche, ulteriori 156 dalla stessa azienda, passando da 550 a 1100 dipendenti. Il deficit, intanto, tocca quota 65 milioni, e Marvecs, una srl, diventa la prima azienda farmaceutica italiana per numero di informatori. Strano, visto che il numero uno Nicola Danzo in un’intervista aveva «rimproverato» le multinazionali di avere assunto in passato troppi informatori.

Oggi, tra cassa integrazione e uscite volontarie, in Marvecs sono attivi circa 200 informatori. La terza richiesta di proroga della cassa integrazione è stata presentata un mese fa e sottoscritta da Cgil, Cisl e Uil ma non dai Cobas, dopo che si è scoperto, grazie a una banale verifica all’Inps, che l’azienda non versa il contributo mensile per il fondo pensionistico, che eppure viene trattenuto in busta paga. Il giochetto è costato all’amministratore Danzo almeno una denuncia per appropriazione indebita da parte di un dipendente «comprato» dalla Wyeth (citata dallo stesso lavoratore, in un’altra causa, per “incauta cessione” alla Marvecs).

Ma a ricorrere agli ammortizzatori sociali sono anche aziende più quotate. Nel 2009, Astrazeneca ha disposto per la cassa integrazione per 256 lavoratori e un mese fa ha dichiarato ulteriori 41 esuberi. Tra i due provvedimenti, s’è però contraddetta, acquistando 170 informatori da Simesa (una controllata) per potenziare la linea primary care, la stessa che era stata cancellata dalla precedente mobilità.

Il trucco di scaricare su altre imprese (e sullo Stato) il costo del personale in eccesso è stato denunciato da alcuni informatori, reintegrati al proprio posto dai giudici. Roche è stata tra le prime aziende a sbarazzarsi delle linee impegnate sul fronte dei medici generici. Nel 2008, con un fatturato che l’anno prima era schizzato a un più 11,5% grazie agli oncologici salvavita, la multinazionale cedeva un centinaio di informatori alla Innovex, una srl con un capitale sociale di 90 mila euro. «Per fare accettare il trasferimento, si garantiva ai dipendenti che nulla del trattamento originario sarebbero stato intaccato» spiega l’avvocato degli informatori Pierpaolo Capoano. Ma al momento di firmare l’accordo, ecco la novità: nel 2008, una lettera dei rappresentanti sindacali spiegava che, per non perdere il diritto alla tassazione agevolata del passaggio alla nuova azienda, la forma della cessione andava modificata, passando da «cessione di contratto» a «risoluzione e nuova assunzione»: una formula, quest’ultima, che non garantisce il trasferimento automatico del trattamento pregresso. Otto dipendenti «ribelli» non ci stanno e vengono trasferiti nella sede Roche di Monza a occuparsi di recupero crediti. Di questi, cinque hanno vinto una causa per demansionamento, ma uno è dovuto ricorrere nuovamente al giudice per farsi riassegnare alla sede originaria, dopo che Roche lo aveva riassunto lontanissimo dalla vecchia sede.

Commenta uno di questi ex dipendenti Roche: «La nostra non è solo una storia di lavoratori svenduti, ma anche una truffa ai cittadini: l’Agenzia italiana del farmaco, nel fissare i prezzi dei medicinali, valuta il costo che le imprese sostengono per l’attività di informazione, che non è accessoria, ma indispensabile, come ribadito dalla legge. Dunque, se le aziende tagliano le linee di informatori, anche il prezzo dei farmaci va rivisto al ribasso». Ipotesi innaccettabile, per il presidente di Farmindustria Sergio Dompé: «I prezzi sono già troppo bassi». Giuliana Carlino, la senatrice idv che l’anno scorso presentò un’interrogazione sulla vicenda Roche, dice che la risposta dal ministero della Salute (dove all’epoca sedeva Maurizio Sacconi) non è mai arrivata: «In compenso, pochi giorni dopo aver depositato il documento, ricevetti una chiamata da Farmindustria (il direttore generale è Enrica Giorgetti, moglie di Sacconi) e dalla stessa Roche. Volevano spiegarmi le loro ragioni». Quando si dice la disponibilità.

Economia, questa (finta) sconosciuta

Emma Marcegaglia

C’è qualcosa di strano quando il Presidente del Consiglio ad un incontro della Confindustria parla di riforma presidenziale, di intercettazioni, di giudici e pochissimo di economia e lo applaudono 20 volte in 50 minuti.

Silvio Berlusconi parla di “nostra associazione”, “colleghi imprenditori”, la “nostra Emma” (Mercegaglia). Emma Mercegaglia parla di “tuo governo”. Un rapporto amichevole, niente di professionale, tanto che Berlusconi può dimenticarsi di parlare di riforma fiscale, che tanto starebbe a cuore, a sentire la Mercegaglia, alla Confindustria. O meglio ad accennare che tra tre anni, guarda caso quando si rivoterà, taglierà le tasse.

Altri i tempi in cui Montezemolo distanziava l’associazione dal governo, altri i tempi in cui Della Valle chiedeva serietà al premier dalla platea e lui gli rispondeva “deve dare del lei al Presidente del Consiglio”.  Altri tempi quando le cifre erano al centro del discorso.

Altri tempi, ma non per forza da rimpiangere. Ora la Mercegaglia è molto più “amica” di chi sta (o dovrebbe stare) a Palazzo Chigi. D’altronde il suo gruppo ha ricevuto dalla Protezione Civile l’appalto de La Maddalena, dove ha costruito mega holel a prezzi stracciati e dove dovrà pagare affitti da pochi euro per una zona bellissima. E non alla regione Sardegna, ma alla Protezione Civile. Tutto grazie allo strano sistema della PC. Insomma, va tutto molto bene.